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S'annu de Titinu Chessa

Immagine rappresentativa per: S'annu de Titinu Chessa

La vicenda di uno dei più grandi cavalieri dell'Ardia che l'uomo ricordi. Fu colui il quale, per primo, negli anni venti del secolo scorso, diede inizio all'Ardia da dove nessuno aveva mai osato: da Su Frontigheddu.

Le ferite della Grande Guerra erano ancora fresche quando fece la Prima Pandela Costantino Chessa, classe 1892. Per i sedilesi era Titinu Chessa, il giovane ex militare tornato da poco in paese dopo circa sette anni di lontananza.

Conosceva bene i cavalli: li amava, ci andava sin da piccolo e, quando fu arruolato, questa sua preziosa dote non sfuggì ai superiori, tant’è che un generale lo volle come stalliere e persona di fiducia alla quale affidare il delicato compito della corrispondenza durante il periodo bellico.

Riposte le armi e festeggiata la vittoria per aver reso italiane Trento, Trieste, Fiume, l'Istria, la Dalmazia e l'Alto Adige, Costantino fa ritorno in paese. Manca da tanto tempo. A quei tempi non esisteva facebook, non c’erano i cellulari e viaggiare non era alla portata di tutti. Si intrattenevano rari rapporti epistolari con la famiglia per avere notizie sullo stato di salute dei propri cari e del bestiame. Nei lunghi anni lontano da casa, l’amico che lasciavi ragazzo lo ritrovavi uomo e padre di famiglia. I ricordi di gioventù erano sbiaditi e molti degli amici di ieri erano stati chiamati alle armi per recarsi al fronte e da lì non fecero più ritorno.

Non tutti conoscevano Costantino, sapevano chi era, ma lo ricordavano ragazzo. In pochi sapevano che quegli anni lontano da Sedilo li aveva vissuti inizialmente a Vercelli e poi in Somalia (a Mogadiscio), con la speranza di tornare nella sua terra e, da sedilese, di fare l’Ardia da protagonista, come prima bandiera. In quei tempi era tradizione portare la Prima Pandela per due anni consecutivi. Non erano in tanti che potevano permettersi di fare i capicorsa anche se a cavallo sapevano andare tutti perché ogni famiglia ne aveva almeno uno. Quasi tutti erano agricoltori e pastori. Era quello il lavoro della vita, che ti permetteva un’esistenza modesta ma dignitosa. Non era semplice il lavoro nelle campagne come non lo è adesso, ma prima era molto più duro e faticoso. Lo era ancora di più per un uomo che vi fa ritorno dopo lunghi anni di assenza. I rapporti umani erano affievoliti dalle intemperie e dal tempo, era difficile il ritorno a “su connotu”, alla vita di prima, e capitava anche di avere contrasti e dissidi con qualcuno. Erano gli anni venti, i ricordi familiari tramandati oralmente sostengono che Costantino Chessa avesse subito alcuni piccoli furti di bestiame e questi furono denunciati presso l'autorità giudiziaria competente e vennero fatti addirittura i nomi dei sospettati ladruncoli. Costantino riponeva la sua fiducia nell'Arma per il sol fatto di aver vissuto la vita militare con passione.

Venne scelto dal parroco del paese per fare la Prima Pandela dell’Ardia agli inizi degli anni venti, presumibilmente nel biennio 1922-1923. Tornato da poco, in paese era quasi sconosciuto e sconosciuta era anche la sua abilità di cavaliere. Lui quell'anno doveva fare l’Ardia e qualcuno, con la spavalderia tipica dei “balentes” dell'epoca, era pronto a dare battaglia a Costantino per fargli fare una brutta figura davanti al paese e a tutta la comunità sarda riunita nel santuario di Monte Isei il 6 luglio del presunto 1923. L’Ardia, oltre ad essere un'occasione per mettere in mostra l'abilità equestre del cavaliere era anche l’occasione per rivendicare i dissapori che si regolavano anche durante la corsa.

Costantino Chessa era accompagnato come “pandeledda” dal conosciuto e apprezzato cavaliere “Pillotu” e dalla scorta “Maloccu”, il suo destriero era una cavalla bianca di Andria Pes. (s’ebba murra, come si dice in paese). La terza pandela era un non ben precisato appartenente alla famiglia Mureddu. Anche allora le scorte erano tre e si dividevano tra su Frontigheddu e il sentiero sottostante perché i cavalli erano tanti, troppi per stare tutti insieme sul promontorio.

I due gruppi scendevano lenti al passo per poi ricongiungersi alla base e prepararsi alla partenza. In quel periodo la corsa iniziava lungo la direzione della pianta d’ulivo (s’olia), in prossimità del sentiero che porta alla fonte.
Quel giorno i cavalieri erano davvero incontenibili e la ressa era enorme tanto che le scorte non riuscivano ad impedire l’avanzata dei cavalieri verso le pandele. C’erano cavalli scalpitanti ovunque: a su Frontigheddu e nella stradicciola sottostante. La polvere e la tensione avvolgeva tutti e le bastonate delle scorte facevano eco. Il fragore dello scalpitio dei cavalli si mescolava al vociferare dei tanti spettatori accorsi per devozione o semplicemente per lo spettacolo dei cavalieri dell'Ardia. Su Frontigheddu non era il promontorio che conosciamo oggi, era più stretto e molto più impervio, la roccia spigolosa e appuntita usciva dalla terra e il fieno era alto: da lì si passava al passo.

La croce non era il punto di partenza dell’Ardia, ma quello di non ritorno, oltrepassato il quale non ci potevano essere ripensamenti: l'Ardia doveva partire. Incamminandosi nella discesa, Costantino volge lo sguardo verso i cavalieri e si rende conto che ormai le scorte sono quasi sopraffatte. Questo non poteva permetterlo. Decide quindi di affrontare personalmente il gruppo, in particolar modo quelli che avevano intenzione di rovinargli la corsa, quelli che fomentavano il gruppo delle prime file di cavalieri.

E allora decide di scendere dal cavallo con il vessillo color oro stretto tra le mani a cercare il coraggio per ciò che stava per compiere: un atto di misericordia, di preghiera e di ardito impeto. Si dirige verso i cavalieri in modo deciso, tutti rimasero attoniti ed impietriti da questo gesto fuori programma. Il suo sguardo incrocia quelli della prima fila per poi pronunciare poche parole: “A chie jughet bonos intentos Santu Antinu d’azuet. A chie dos portat malos, Santu Antinu d’iscollet”. Sul promontorio la distanza tra i cavalieri ed il suo cavallo è di pochissimi passi. Tutti restarono turbati davanti a simili parole. Immobili. Increduli. Detto questo , Costantino gira le spalle e torna verso il suo destriero. Poggia sulla sella la pandela che stringe tra le mani e, con un balzo, vi si aggrappa per salire in groppa, mette un piede nella staffa e, con uno scatto fulmineo, dà un colpo di sperone al cavallo che parte all’improvviso cogliendo tutti di sorpresa. L’Ardia ha inizio da dove mai nessuno aveva osato prima.

Alla fine della discesa da su Frontigheddu, Costantino riesce a rimettersi in sella con un’agilità felina degna di un acrobata, supera su “depositu de sa funtana” che sta in mezzo alla pista e si dirige verso su “portale ‘e linna”.

I cavalieri ancora increduli si buttano anch’essi nella sfrenata corsa, ma a fine discesa si scontrano gli uni con gli altri partiti dalla stradina sottostante e inizia una rovinosa caduta generale. Qualcuno rimane ferito gravemente, ma nessuno perde la vita. Titinu Chessa arriva alla chiesa assieme alle altre due pandele. Così come ha voluto San Costantino.

Solo dopo qualche tempo, intorno agli anni '40, divenne consuetudine dar inizio all’Ardia dalla croce di su Frontigheddu, così come avviene oggi.

Questa è la storia di Costantino Chessa capo corsa di un'Ardia di tanti anni fa. Una storia che spiega come un particolare, quello della partenza, non è rimasto immutato nei secoli. Forse un secolo fa l'Ardia era più cruenta e sanguigna rispetto ai giorni nostri. Questa storia però fa capire come tutte le manifestazioni umane possano cambiare per svariati motivi. A dettare qualche cambiamento negli ultimi anni sono state sopratutto legittime esigenze di sicurezza che un secolo fa non erano considerate importanti, ma a restare immutata allora come oggi è e sarà senz'altro la passione e l'ardimento dei cavalieri e la devozione dei sedilesi verso San Costantino che nessun evento esterno potrà mai intaccare.

E così sarà, fino a quando un bambino vorrà giocare a fare l'Ardia con “su caddu murriale” ascoltando i racconti e le leggende e fino a quando ogni sedilese, anche lontano tornerà con la mente all'immagine del santuario e si sentirà sempre a casa. Ovunque.

Immagine rappresentativa

[01 luglio 2014]

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