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S'annu de sa briga

Si hanno poche notizie di quell’avvenimento, la rissa tra scanesi e sedilesi, il giorno 7 luglio del 1806.

E’ molto riduttivo, da come ci viene tramandato, che “sa briga” si sia svolta solo per la gestione della festa e, di conseguenza dell’Ardia. Che gli scanesi si arrogavano il diritto, con anche la nomina del capo corsa, ma il Parroco di Sedilo, il Rettore Massidda si oppose, e da quell’anno, la gestione della Festa passò esclusivamente ai Sedilesi.

Come già scritto precedentemente, la versione sedilese della leggenda si conclude con la costruzione della chiesa a Monte Isei, mentre la versione scanese continua raccontando anche di “sa briga” del 1806 ed è in questa ultima parte che si colgono certe incongruenze ad ad una attenta lettura.

La versione sedilese è scarsissima di particolari: si accenna solo alla data del 7 luglio 1806, essendo parroco il Rettore Massidda. L’altra invece è ricchissima di nomi, date e quant’altro e ci fa capire che, come la prima parte della “leggenda dello scanese”, sia stato tutto manipolato intorno agli anni 30.

Nel manoscritto che possiedo, che per gli scanesi è la vera storia della costruzione del santuario, riferendosi a “sa briga” così continua:

“Don Giomaria recassi nel colle di Monte Isei, in compagnia di alcuni scalpellini e muratori e diede principio all’opera apparecchiarndo i materiali per la costruzione della Chiesa. Dopo due settimane si gettarono le fondamenta dell’edificio, ma questo dovette sospendere perché nel portamoneta non rimaneva un becco di un quattrino. Don Giomaria dal canto suo era a corto di denaro quantunque ricco di proprietà e bestiame. Che fare? Ricorse a delle prestanze e tornò al suo paese. In tal frangente scelse la via più breve fè sospendere i lavori e se ne tornò a casa e quivi trovò il portamonete dato dal santo ripieno zeppo di monete. Allora fa ritorno a Sedilo e vi trova i muratori e scalpellini intenti alla costruzione della chiesa della quale conduce alla costruzione in breve tempo. Don Giomaria acquistò pure un simulacro di San Costantino ed a pochi passi della Chiesa fabricò una casa per alloggio agli scanesi, che si sarebbero recati colà per devozione. Questa data fu fissata al 7 Luglio giorno in cui gli apparve il santo e in cui fu liberato dai Mori”.

A parte il fantasioso portamonete che si riempiva miracolosamente, sembrerebbe di capire che le maestranze fossero sedilesi e che il Ledda fosse un gran proprietario di terre, di bestiame e che il miracolo del borsellino ripieno di denari, che si riempiva miracolosamente, non a Sedilo, come sarebbe più logico pensare, ma a Scano ogni volta che vi faceva ritorno. Quasi a rimarcare che San Costantino volle si la Chiesa a Sedilo, ma era di loro proprietà.

E’ anche fantasiosa la costruzione di una casa per i pellegrini scanesi che non è mai esistita: né casa né, tantomeno, muristenes. E’ molto strano che mai si parli in che anno si dà inizio o la fine della costruzione del santuario, mentre l’unica data certa è il 1769, come si legge nelle due iscrizioni in spagnolo e in latino sopra il portone d’ingresso e all’interno della Chiesa, rispettivamnete. Si legge che la costruzione avenne per opera del priore Niola Guiso e del Rettore Domingo Porqueddu. Una storia avvincente che racconterò quando illustrerò la costruzione del santuario tratta da documenti.

Finchè visse, Don Giomaria amministrò quella chiesa e lui stesso ogni anno, in compagnia del clero scanese e della confraternita di santa croce di Scano, portava avanti una bandiera in cui aveva fatto cucire l’anello-sigillo datogli dal Santo. La bandiera che aveva la precedenza verso la chiesa su tutte le altre bandiere. I diritti suoi passarono ai suoi eredi e così, gli scanesi, con lo stesso diritto, per tanti anni furono i capi della Festa.

Certo Prete Ledda, pronipote di Don Giomaria ereditò tale diritto finchè nel 1806, il parroco di Sedilo Pietro Paolo Massidda volle per forza sostituirsi al clero scanese nell’amministrazione della festa. Ne nacque una violenta zuffa tra scanesi e sedilesi e “ci scappò anche un morto”. Lo scritto finisce con queste parole: “Questa è l’origine della chiesa e l’era di San Costantino che ricorre a Sedilo il 7 luglio”.

Tra le tante anomalie, quella più evidente, è che gli scanersi si sono rifiutati di far fotografare sia l’anello che la bandiera, che dicono di possedere in custodita in una banca e affermano che nella bandiera de “Sa prima Pandela” è disegnato San Costantino a cavallo. Anche questo dettaglio non è verosimile perché San Costantino a cavallo non è contemplato neanche nell’iconografia del culto ortodosso in quanto è sempre rappresentato in piedi accanto alla madre S. Elena o seduto da solo nel trono (Sa trona). I primi quadri di San Costantino a cavallo appaiono per la prima volta nel Santuario di Sedilo ai primi del novecento, come ex voto. Quegli ex voto però, non sono altro che la raffigurazione di San Venceslao patrono di Praga scambiato, o fatto scambiare per Costantino Imperatore, perché una parte del clero locale voleva sostituire il culto all’Imperatore e, ancora oggi, non sono poche le persone del clero isolano non vedono di buon occhio il culto a San Costantino.

Perché gli scanesi si arrogavano il diritto di organizzare la Festa? Avevano forse qualche diritto legale che li autorizzava o gli scanesi si rifacevano alla leggenda della visione del loro paesano, che fu liberato dalla prigionia dei Mori, dopo la visione di un giovane di bell’aspetto a cavallo chiedendogli di erigere una chiesa a Monte Isei? Sarà pure una bella storia, ma rimane una leggenda che, come tutte le leggende, contiene qualche verità.

Con l’insediamento dei Monaci Camaldolesi, voluti da Costantino I di Lacon, Giudice di Torres, che fu uno degli uomini più illustri, come appare più che dalle cronache Sarde, da quelle fonti storiche Pisane. Il 30 Aprile del 1113, Petru de Athen e la sua famiglia affiliano la chiesa di San Nicola di Trullas alla chiesa di San Salvatore di Camaldoli. E’ in questo anno che ha l’inizio del Giudicato di Gosantine I di Torres. Con la bolla del Papa Pasquale II del 1113, che sancisce la riunificazione di chiese, romitaggi, priorati ecc, in un corpo unitario, ed è in quell’anno che Gosantine I insieme alla moglie Marcusa di Gunale (ramo d’Arborea). Donò ai Camaldolesi la chiesa di S. Pietro in Scano e di Saccargia con tutte le pertinenze, compreso il diritto di pesca del fiume Temo.

Nell’atto di donazione si legge: “[...] Ego quidem Constantinus. Grazia Dei, Rex cum uxore mea Marcusa, Testimoni tutti quattro i fratelli . Pietro, Ithocor, e Mariano de Athen, Barisone de Setilo, Mariano de Tori […]”.

La donazione delle terre, dei servi e del bestiame è registrata sotto il “ON 736 Registrum Camaldolense” ed è eseguita dal 743, che è una Decretalis Pagina dell’arcivescovo Azzone del 13 Dicembre 1112, indirizzata a Guidone, Priore dei Camaldolesi, che conferma la primitiva donazione a S. Pietro di Scano, sottoscrivono i Vescovi di Bosa, Ploaghe, Ampurias, Bisarcio. Con questo atto il Monastero diventa esente dalla giurisdizione vescovile e passa al Priore Generale dei Camaldolesi, tutti i beni ad esso donati sarebbero stati goduti “Sine Molestia et Iquetudine”.

La nomina del Rettore della chiesa di S. Pietro di Scano, dipendeva esclusivamente dal Priore dell’Ordine, nessuno poteva essere sostituito senza sua autorizzazione, avrebbe goduto della “Decima set Primitias Omnium Rerum Mobilium et Immobilium” presenti e future dovute alla chiesa di S. Pietro ad esso spettanti nella villa di Scano.

Nel periodo di presenza dei Camaldolesi nel Cenobio di S Pietro di Scano, la chiesa di S. Costantino di Sedilo fu donata ad essi da un Donnicello (Figlio di un Giudice) o di un Majorale, per cui tutte le sue pertinenze, terre bestiame, servi e quant’altro divenne filiale della Parrocchia di S. Pietro in Scano. I monaci Camaldolesi, varie volte all’anno vi celebravano i riti religiosi e organizzavano la Festa. Quando i Camaldolesi lasciarono Scano, furono sostituiti dai Vicari Priorali del Clero Secolare, i diritti del Priorato Scanese, quando i Camaldolesi lasciarono il Cenobio, fu acquisito dal Priore di Saccargia e, di conseguenza, S. Costantino dipendeva da questo Priore.

Papa Pasquale II nel 1114 e la Bolla di Papa Onorio II del 7 Marzo 1125, confermano ai camaldolesi i possedimenti e i Monasteri da loro posseduti. Nella Bolla vengono menzionati alcuni Priori del Condaghe di S. Nicola di Trullas e di Priori Scanesi, Ranieri, Donnu Juvanne, Donnu Tipoldu, Donnu Juvanne Aretinu, sono registrate tutte le donazioni e transazioni di case, servi, boschi e vigne.Testimoni Comita de Thori, Anna de Athen, Mariane de Athen. Il 7 Luglio 1183 Papa Lucio III riceve sotto la sua protezione le chiese e i monasteri che i Camaldolesi possedevano in Sardegna tra cui “Ecclesiam Sancti Petri in Scano” e l’Imperatore Ottone IV, il 6 Novembre 1209, riconosce tali possedimenti.

Dopo la sconfitta dei Pisani, a cavallo tra il duecento-trecento, i Camaldolesi lasciarono il territorio di Scano, la corporazione religiosa diventò un Priorato che passò al Regio Patronato. La dipendenza di tale Priorato passò all’abbazia di Saccargia sino ai primi dell’800, la rendita dei beni del Priorato veniva percepita metà dal Vicario di Scano, l’altra metà si versava all’Abate di Saccargia. Un documento a riguardo ci è pervenuto tramite una lettera del Vescovo di Bosa Monsignor Giovanni Antonio Cossu, del 26 Aprile del 1796, indirizzata al Vicario di Scano Don Francesco Luigi Panzali, pregandolo di farsi consegnare dall’appaltatore “Su Regortore”: 56 lire, 6 soldi e 2 denari che spettavano all’Abate di Saccargia.

In un atto del notaio Priamo Giuseppe Muxiri, rogato a Sassari in data 8 Marzo 1806, lo stesso Panzali sottoscriveva una procura a favore di una persona di Sassari, perché in suo nome stipuli l’atto di appalto della decima spettante all’Abate di Saccargia ed esattamente la decima che percepisce dalla villa di Scano per tre anni di Lire 125 scudi Sardi all’anno, che saranno consegnati allo stesso Abate.

Il vescovo di Bosa non fu di meno lo stesso giorno e mese obbligò tutte le parrocchie, di versare una decima straordinaria triennale, prelevata anticipatamente su tutte le entrate dell’anno di scadenza. Alla morte dell’ultimo abate di Saccargia, Francisco Paliaccio, il titolo di Priore passa al Vescovo di Bosa e, di conseguenza, divenne Priore di S. Pietro di Scano e Priore di S. Costantino. Questo gli da diritto di pretendere una parte degli introiti che attualmente sono cosi suddivisi: una parte al Santuario per le spese per le funzioni religiose, una quota al Rettore del Santuario, una al parroco di Sedilo, una quota al Seminario di Bosa e l’ultima al Vescovo pro tempore della diocesi di Bosa. Questa ultima suddivisione fu stabilita nel 1925 da Pio X, con Motu Proprio, in seguito ad una richiesta del Vescovo di Bosa, Arcangelo Zanetti.

E’ interessante vedere che nei libri dell’amministrazione del Santuario del “Glorioso San Costantino de Norday”, nell’anno 1669, redatti in Spagnolo e custoditi nella Parrocchia di Sedilo, si possono leggere tutte le entrate (Cargo), le spese (Descargo) e i numerosi pellegrini partecipanti alla Festa dai paesi di Macomer, Dualchi, Noragugume, Bortigali, Santu Lussurgiu, Cuglieri, Ghilarza, Soddi, Borore, Bidoni e Villa de Canalis. Non si citano fedeli di Scano Montiferro, come sarebbe logico se la festa la organizzassero loro. Si apprende anche che le novene si celebravano nei mesi di Aprile e Ottobre.

Nel 1796, il 13-14 Giugno, Giovanni Maria Angioy lasciò Oristano sperando di aver l’appoggio dei vecchi amici del Marghine e Montiferru, vistosi tradito e costretto ad attraversare la montagna in direzione della Planargia attaccato a sinistra dalla Cav. Marcello da Cuglieri e a destra da 500 uomini di Don Giuseppe Passino di Macomer e dalla cavalleria di Padria. Angioy si travestì da contadino arrivò a Thiesi con appena 50 uomini, lasciò Sassari e si trasferì a Parigi dove morì. Il più acerrimo nemico dell’Angioy era il Marchese della Planargia e generale delle armi Gavino Paliaccio, truccidato a Cagliari dalla gente inferocita.

Nel 1803 Sedilo passò dalla diocesi di Oristano a quella di Bosa. Nel Luglio del 1806, s’annu ‘e sa briga, i personaggi sui quali vorremmo porre l’attenzione sono: Il parroco di Sedilo (Rettore Massidda di S. Lussurgiu), Il Marchese di Sedilo Geronimo Delitala, il Parroco (Vicario) di Scano Ledda, Il Vescovo di Bosa Gavino Murru, il Priore di Saccargia Francisco Paliaccio (morto a Maggio) e il Vicario amministratore dei beni di S. Pietro (Luigi Panzali).
Analizzando i personaggi, si arriva a conoscere la verità su quel famoso episodio o, almeno quello che più si avvicina, in attesa di altri documenti. I sedilesi non vedevano di buon grado il Marchese Delitala, uomo arrogante che generalmente viveva a Sassari e si recava a Sedilo, da Pasqua sino a dopo la Festa di S Costantino. Egli era mal visto dal clero locale e molte volte le due parti si rivolsero al tribunale per redimere le loro costanti liti.

Don Geronimo o Gerolamo era sposato con Angela Paliaccio, nipote del Gavino Paliaccio, generale delle armi e Marchese di Planargia. Con l’avvento dei Savoia nel 1720 Scano entrò a far parte del marchesato della Planargia. Lultimo Abate di Saccargia è stato Francisco Paliaccio, fratello del Marchese di Planargia e zio di Angela Paliaccio, moglie del Marchese di Sedilo.

A questo la storia che “sa briga” tra sedilesi e scanesi fosse dovuta solo per organizzare la festa e la nomina de Sa Prima Pandela non regge più: gli interessi erano squisitamente economici.

Ormai Sedilo era entrato nell’orbita della diocesi di Bosa con la morte dell’ultimo Priore di Saccargia. Il Vescovo divenne quindi il Priore e il Vicario Panzali che, sino allora divideva a metà col Priore le prebende di S. Costantino, molto generose nel periodo della Festa e durante le novene di maggio e agosto, non voleva rinunciarvi.

Spalleggiato dal Marchese di Sedilo che odiava anche il Rettore Massidda, di famiglia nobile, che insieme agli Obinu ospitavano l’Angioy, e le due famiglie erano contro i Feudatari, tanto che il Marchese di Planargia obbligo all’esilio sia un Massidda che un Obinu. Michele Obinu amico e parente di Giovanni Maria Angioy, Don Antonio e Don Francesco Giuseppe Massida, furono feroci osteggiatori del regime feudale e dell’autorità piemontese, così come i suoi abitanti che crearono non pochi problemi a Carlo Felice di Savoia. Egli scrisse una lettera al fratello, Governatore di Sassari, nella quale affermava:

“Sono mendicanti, perché non hanno ben accolto un uomo prezioso come Voi. Ho l’intenzione di inviare l’ordine di demolire l’intero paese, che non resti pietra su pietra, e che gli abitanti siano passati a fil di spada”.

Giuseppe Massidda, fallito il tentativo Angioino, continuò con alcuni suoi compagni alla lotta antifeudale clandestinamente. Fu il capo della rivolta di S. Lussurgiu dell’800, al seguito del fallimento riparò in Corsica insieme a 17 compagni.

Tornando alla lite, essa avvenne tra il Rettore Massidda e il Vicario Panzali, non con il Rettore di Scano, Rev. Don Antonio Ledda. Il Panzali non voleva assolutamente perdere le ricche prebende del Santuario, anche dopo il passaggio di Sedilo a Bosa e continuava a recarsi a Sedilo con la confraternita del Rosario Scanese, arrogandosi il diritto di proprietà del Santuario e, di conseguenza, di tutto il resto.

E’ da tenere presente che nel 1798 Pio VI con la bolla “Pastoralis Omnium” del 24 settembre separò dall’arcidiocesi di Oristano: Sedilo, Soddì, Zuri, Aidomaggiore, Boroneddu, Domus novas e Abbasanta per aggregarle “Diocesibus suo tempore disignandis”. Tra le diocesi cominciò una guerra per l’assegnazione di questi paesi, per le ricche prebende, che questi portavano in dono. Con questa disposizione papale anche i diversi ordini religiosi e priorati si diedero da fare per appartenere a quella o a quell’altra diocesi. Non di meno furono in questa disputa i vari Parroci. Il 9 marzo 1803, il papa Paolo VII, mise fine alla disputa con la bolla “Divina Desponente Clementia” e aggregò le suddette parrocchie a Bosa, tranne Abbasanta che rimase all’Arcidiocesi di Oristano.

Attualmente i Vescovi di Bosa esercitano i loro diritti legali essendo Priori del Santuario di San Costantino.

Il clero scanese, vista la devozione della popolazione al Santo Guerriero istituì un’altra festa in onore di S Costantino sino al 1928 in occasione della quale si correnva un’ardia nella piazza Montrigu de Reos, il giorno 12 di Settembre. Nel 1929 venne sostituita con la festa in onore dei due loro Martiri S. Errio e S. Silvano che si festeggia lo stesso mese.

A Scano è ancora conservata una statua di S Costantino e una bandiera che, si racconta, fosse quella usata nell’Ardia a Sedilo e di un anello nobiliare, con inciso un Leone eretto sulle zampe posteriori, mentre in una zampa anteriore regge uno scettro. A un lato dello scudo si osserva la lettera A, dall’altro lato la lettera J. I proprietari sostengono che era l’anello donato da S. Costantino al loro compaesano, per ringraziarlo dell la costruzione del Santuario a Monte Isei e, molto fantasticamente, asseriscono che la lettera A è da interpretare come Augusto, metre la lettera J come Imperatore.

E’ da stabilire se la statua del santo in questione è la stessa che si portava in processione a Sedilo o è quella comprata dal padre del Parroco di Scano Don Giovanni Maria Ledda, dopo “sa briga” del 1806.

La storia della rissa tra sedilesi e scanesi, narra che durante la zuffa fu ucciso un uomo. E’ interessante notare che, consultando i registro dei morti conservati nella Parrocchia di Sedilo, non si trova in data del 7 Luglio 1806 nessun morto di Sedilo ne tantomeno di Scano. Con la legge del tempo il defunto, anche se forestiero, doveva essere sepolto in loco.

Nei documenti redatti in Spagnolo riguardante le entrate, e le uscite nell’amministrazione del Glorioso San Costantino de Norday, non si fa cenno a priori, sacerdoti o novenanti di Scano, dal 1669 al 1795 che amministrassero il Santuario o si recavano a Sedilo per organizzare la sagra.

Esaminando un documento, precisamente una tesi di Laurea, ho trovato una notiziola che può aprire nuovi orizzonti sulla “Leggenda dello scanese” e, di conseguenza, su tutta la storia della costruzione del Santuario. La tesi di Laurea è del sedilese Tonio Salaris dal titolo “L’Amministrazione della chiesa di San Costantino in età moderna”, che tratta dei contratti di Soccida e dei beni della Chiesa, stipulati dai priori, amministratori od obrieri con i privati. Un lavoro interessantissimo, con tanto di nomi, date, quantità di bestiame posseduto e il contratto stipulato: a mesu a pare, a pasa pagada, a cabu iu e tres a una.

Nel 1714 la famiglia Sanna con in testa il capostipite Nicolas Sanna detto “S’Iscanesu”, probabilmente perché originario di Scano Montiferro, detiene il monopolio dei contratti di soccida riguardante il bestiame ovino. Già precedentemente infatti la mandria dei Sanna è la più numerosa, con 145 capi, contro una media degli altri pastori di circa 60 unità, negli anni seguenti la mandria passa dai 315 capi del 1719 fino ai 351 del 1729, una enormità per quei tempi. Dagli anni del 1730 in poi i Sanna si interessano anche del bestiame bovino, rimando nello stesso tempo i conduttori più importanti di ovini, che nel periodo 1739-1753 erano di 830 capi. Si può capire che tanti capi di ovini e bovini posseduti dai Sanna avessero necessità di pascoli estesi. A questo punto il dubbio sorge spontaneo: se il ricco scanese fosse questo Nicolas Sanna o un sue erede che per appropriarsi di grandi estensione di territori fu inventata la famosa leggenda?

E’ proprio in quegli anni che, dalle iscrizioni in latino e spagnolo dentro e fuori del santuario, è stata costruita o ricostruita la chiesa in onore di San Costantino de Norday. Chi, se non una potenza finanziaria come i Sanna, poteva permettersi la costruzione di una simile opera? Di conseguenza, come già scritto, gli scanesi suoi discendenti si arrogavano il diritto di proprietà e da qui la contesa, sfocciata nei fatti del 7 Luglio del 1806, le cui motivazioni giunte a noi sarebbero da ricercare solo nell’esclusivamente di organizzazione della festa e della nomina della Prima Bandiera.

 

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