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La leggenda dello Scanese

A Sedilo esiste una leggenda sull'origine della chiesa di San Costantino. Essa narra di uno scanese rapito dai mori e fatto di liberare da San Costantino in cambio della costruzione di una chiesa nel paese di Nordai, in località Monte Isei, in sas pedras aspras.

In seguito allo Scisma d’Oriente, nel 1054, gli ultimi monaci bizantini basiliani, lasciarono la Sardegna, sostituiti dai monaci latini, è probabile, che il culto a Costantino Imperatore, fu dimenticato in favore di un altro Costantino. A tal proposito scrive Don Spada: “Fu allora, che si perse anche il ricordo delle imprese compiute da Costantino e del suo tempo, e si diffuse la persuasione, che egli fosse stato un campione della lotta sostenuta dai cristiani sardi contro gli invasori musulmani. Tale diceria si è propagata fin quasi ai giorni nostri negli strati più incolti della popolazione”.

Ci viene da domandare, a quale Costantino gli strati più incolti della popolazione (sedilese?) ha rivolto il culto? Chi era il Costantino difensore dei cristiani sardi contro gli infedeli? Sono stati i monaci latini, con il loro arrivo, a sostituire l’ingombrante Costantino Imperatore, Santo solo per la chiesa Ortodossa, con un San Costantino Sardo?

Papa Gregorio VII, spedì in Sardegna anche Costantino di Castra, Vescovo prima a Bosa e poi a Porto Torres, personaggio che ebbe un ruolo importante nel Giudicato del Logudoro, tra l’altro fece costruire la basilica di San Pietro extra muros a Bosa, inaugurata nel 1070 dallo stesso Vescovo, che è legata, come si vedrà più avanti al culto di San Costantino. Ed è sempre il nome Costantino, che ricorre come Re, Imperatore, Vescovo, Regolo, Dux o Sedilese, che non ci dà un attimo di tregua.

In una iscrizione commemorativa a Porto Torres, che ricorda una vittoria del Dux e console Costantino contro gli invasori Longobardi nel 552-554. Quella vittoria è riportata con un iscrizione in una architrave e si legge:

“Tu trionfatore Costantino, unico signore di tutta la terra abitata, distrutta dai nemici Longobardi e degli altri barbari. Tu Costantino armato contro di loro con saggezza e con la prudenza hai mostrato il Verbo Divino, che pacifica il mondo. Costantino celeberrimo console e duca, offre al Signore della Terra i simboli della vittoria per la caduta dei tiranni Longobardi e degli altri barbari, che si sono armati contro la tua serva l’isola dei Sardi”.
Un altro Costantino, che lottò contro gli infedeli fu Costantino Regolo di Torres, che l’Angius come già visto lo celebra come Santo, in tutte quelle località ove esiste un culto a un S. Costantino.

Costantino I Regolo di Torres, nacque dal giudice Mariano, sposato con Marcusa di Gunale. Fece costruire molte chiese, e regalò immense prebende ai monaci latini, fece costruire la Basilica di Saccargia, per sciogliere un voto fatto con la moglie, per la nascita del figlio Gunnare (Gonario). Con la potente Pisa, organizzò una spedizione nelle Baleari, per combattere i Mori, che cercavano di invadere la Sardegna. Fu il suo figliastro Saltaro a guidare i Sardi nella vittoriosa spedizione. Per ingraziarsi il papato nella organizzazione della prima crociata del 1096, contro i Turchi, partecipò alle spese con cospicue donazione. Accolse il rientro dei crociati, ringraziandoli per la liberazione degli schiavi Sardi, e favorì l’ingresso dell’ordine dei Templari in Sardegna. E’ ricordato nel “Liber Maiolichinus” come “Rex Clarus multus celebratus ab omni Sardorum Populo”. Dopo la sua morte è celebrato come Santo dai Sardi. Suo figlio Gonario suo erede, partecipò anche lui alla seconda crociata, e al suo rientro dopo aver soggiornato a Montecassino per incontrare San Bernardo di Clairvaux, fondatore dell’Ordine dei Cistercensi, e gran sostenitore dei Templari, che fece arrivare anche in Sardegna, è non è assolutamente da escludere per varie e molteplici ragioni un loro soggiorno anche a Sedilo, come nei vicini Norbello e San Leonardo. Gonario trovandosi in un mare in burrasca al rientro in Sardegna, fece voto alla Madonna, promettendo che in cima alla prima altura che avrebbe visto, orientandolo verso la sua salvezza avrebbe costruito una chiesa, e così in quella cima che gli apparve costruì la chiesa alla Madonna di Gonare, (da Gonario). Riconfermò le donazioni fatte dal padre, costruì chiese e monasteri, tra cui quello famoso di Caputabbas di Sindia nel 1149. Ebbe una crisi mistica e con la madre Marcusa si recò a Messina e costruì un ospedale, abdicò in favore del figlio Barisone, si ritirò in convento e prese i voti a Clairvaux, dove morì nel 1182, con “Fama di Sanctitatis”. Gonario fu annoverato tra i beati “Beatus Gumarus” e per l’ordine cistercense venerato come Santo.
E’ da qui che nasce la “Leggenda dello scanese” con le invasioni dei Musulmani, prima gli Arabi, e poi i Turchi e di conseguenza il culto a San Costantino a Sedilo, e la costruzione della chiesa a Monte Isei, ma è un’ autentica forzatura, con la lotta contro i gli infedeli e come difensore dei cristiani sardi Costantino Magno non c'entra nulla. La leggenda, come vedremmo, è contradittoria e si presta a molte interpretazioni: come la data dell’apparizione, il luogo e la costruzione della chiesa stessa a Monte Isei.

Anche in questo specifico caso prendendo per buona la leggenda, che sarà anche bella, ma rimane una leggenda, ci imbattiamo in un altro San Costantino, anche lui Imperatore bizantino, con una madre di nome Elena e per di più l’ultimo difensore della cristianità contro gli infedeli Turchi che mori combattendo sotto le mura di Costantinopoli. Lui era l’Imperatore San Costantino XI.

Sono due le versioni, che in prima lettura non si discostano molto, ma analizzandole attentamente si colgono diverse e importanti differenze, da come la si racconta a Sedilo o da quella che si racconta a Scano.

La più comune e più conosciuta è quella sedilese riportata da Gino Bottiglioni nel libro “Leggende e tradizioni della Sardegna”, che asserisce che gli fu raccontata dalla voce di Aldo Cruccu, ingegnere sedilese, inventore della lana di vetro.

Uno scanese un giorno era lavorando il terreno quando di colpo è stato afferrato e legato dai Mori e l’hanno portato a Costantinopoli. Quivi in Costantinopoli l’hanno fatto servo e doveva lavorare giorno e notte senza nessun intervallo e quando non ne poteva più, l’obbligavano a forza di bastonate a continuare a lavorare. Era un inferno! Ma un giorno quando era sdraiato in terra tutto pieno di sangue per i colpi che gli avevano dato gli comparve un uomo bello e grande e gli dice: “Non ti disperare molto perché i Mori non ti potranno tenere ancora per molto tempo stai sicuro io ti libererò”.

Appena che ha finito di dire queste parole quell’uomo scomparve. Dopo quel fatto sono passati molti giorni e una bella notte lo scanese, senza sapere come, si ritrovò a Porto Torres. Proprio nel momento che arriva gli ritorna a presentare quell’uomo snello e grande, che aveva visto a Costantinopoli, lo ferma e gli dice, “Come ti avevo promesso, ti ho liberato. Io sono San Costantino, e ti ho liberato, perché voglio farmi una chiesa, piglia questo sacco di denari, va a Sedilo, e la chiesa fammela sul monte Isei, e così Sedilo resterà sempre libero da ogni malattia. Lo scanese gli ha dato retta ed ha fatto la chiesa del Santo, che è molto miracoloso e che a quello che pare gli piace restare a Sedilo, quantunque gli scanesi lo vogliano per conto loro.

L’altra versione è quella che racconta Gigia Dettori, scanese, che afferma di conservare l’originale documento, un manoscritto e l’anello dorato donato dai suoi antenati, la statua e la bandiera del santo che gli scanesi portavano a Sedilo il giorno della festa. Tale versione, con intervista alla Dettori, che asserisce che è la vera storia è stata pubblicata sul giornale Il Messaggero Sardo col titolo “Il culto di San Costantino di Sedilo originario di Scano Montiferro”.

In questa versione, si conosce il nome del ricco scanese rapito dai Mori, Don Giomaria Ledda. Non si fa accenno, che lo scanese fosse schiavo a Costantinopoli, ma che fu rapito e tenuto schiavo in ‘Barbaria’, e bastonato dal suo padrone ‘su Moro’. E se la Barbaria, come veniva chiamata già dai romani fosse la Barbagia? E visto che la chiesa da costruire è a Monte Isei di Nordai, non si può escludere, e fortemente considerare, che il rapito fosse tenuto prigioniero a Berziere, località a un km dal santuario, dove una fontana è chiamata ‘Sa Puntana e su Moro’? Berziere era un paese ricco, con fertili terre che si estendevano sino alle rive del fiume Tirso, località nei tempi dei giudicati molto ambita, con anche due chiese, Sant’Andria e Madonna de sa Itria. Il paese forse fu abbondonato, come il vicino paese di Norday per l’insorgere di una grave epidemia di peste, o molto più probabile da incursioni barbaresche, a metà del 1400. Sono solo sospetti, visto lo strano racconto, tutti da verificare riguardo ‘Sa puntana e su Moro’.

Ma chi era su Moro?. Un Moro nel 1015-16 fece un primo tentativo per la conquista della Sardegna, si chiamava Mujihaid, per difendere il regno di Torres arrivarono i Genovesi e i Pisani, su richiesta del Papa Benedetto VIII, ed è in questo periodo che si potrebbe collocare la prima versione della “Leggenda dello scanese”, poi aggiornata nel tempo varie volte, è in questo periodo, che è legata la storia dell’isola, al Principe e Signore dei Saraceni Spagnoli, Mugaihid o Mujihaid, noto come Musetto, Mugetto o Mugettus Rex.

Nacque a Cordoba in Spagna 960/70 ed entra prepotentemente e dirompente nel Medioevo Sardo. Maria Rubera Mata, storica Spagnola in “Literatura Hispano-Araba” riporta la notizia tratta da fonti Arabe: “Mujihaid, coltissimo militare di origine sicuramente Sardo, aunque educado en Cordoba”. Lo storico Roque Chabas, riporta che gli storici Arabi affermano che Musetto era di origine cristiana e che non fosse un fervente musulmano, poiché figlio di una cristiana Sarda, fatta prigioniera con tutta la sua famiglia durante una incursione di Mori-Saraceni in Sardegna.

L’origine Sarda di Mujihaid-Musetto, offrirebbe una chiave di lettura molto suggestiva, e con una evidente diversa lettura della “Leggenda dello Scanese”, e di conseguenza tutto lo scenario in avvenire riguardo il periodo e la costruzione del Santuario di Sedilo. Così come l’intitolazione a Berziere de “Sa puntana e su Moro”, da individuare in Musetto? Le fonti Arabe-Cristiane rimarcano la sua ossessiva attenzione per la Sardegna, e si trovano d’accordo, che le invasioni di Musetto nell’isola non furono esclusivamente incursioni piratesche, per razziare e depredare il territorio Sardo, bensì vere e proprie spedizioni militari su vasta scala di occupazione territoriale della Sardegna.

Nel 1014/15 Musetto organizza una flotta di 120 navi, con 1000 cavalli e migliaia di uomini. Gli storici sostengono, per una ragione di natura geografica, che lo sbarco avvenne a Porto Torres. Lo storico Corrado Zedda sostiene che la resistenza fu affidata al capo dei difensori Malut o Maloto, corruzione in Arabo di Malik o Malk, ossia Principe o capo dei Sardi, o Giudice o Re dei Sardi. I Sardi furono sconfitti, e sul campo lasciarono il loro capo Malot. Il Papa guardava con interesse così come Genova e Pisa alla Sardegna, allestirono una flotta e fecero rotta verso l’isola, ingaggiarono battaglia e i Musulmani vennero sconfitti.

Musetto non si diede per vinto e nel 1025/26, secondo fonti Arabe, ritornò con una potente flotta e occupò gran parte del territorio Sardo e stabilendosi per sette anni. Riedificò una antica città sarda Turres, l’antica Turris Libyssonis, che divenne la sua città con la sua reggia. Ancora oggi a Porto Torres dove presumibilmente era collocata Turris Libyssonis esistono resti delle antiche terme Metzkae, complesso termale pubblico, le imponenti emergenze sono state visibili per secoli e la fantasia popolare le interpretò come rovine del palazzo del ‘Re Barbaro’. E’ a questo punto che la Storia diventa leggenda e la leggenda Storia, in questo specifico caso la Storia-leggenda del martire San Gavino. Il Re Barbaro secondo la leggenda condannò a morte Gavino, ed è possibile che questo Re Barbaro sia stato Musetto e non un fantomatico Governatore Romano di nome Barbarus. La fantasia popolare potrebbe conservare il ricordo di un Re Musulmano, ‘Barbaro’, appunto per i Sardi dell’epoca, siamo agli albori del Medioevo.

Secondo tradizione, Musetto si sarebbe fatto incoronare Re di Sardegna, il primo unico sovrano Musulmano. Musetto morì di vecchiaia dopo aver regnato 36 anni, cronache Pisane favoleggiano di una epica battaglia tra Musulmani e Cristiani, Musetto fu trafitto e ucciso da un valoroso Cristiano Sardo, la sua testa venne issata nell’albero maestro della Ammiraglia della flotta Sarda (Carte d’Arborea ritenute senza ombra di dubbio false). Se come affermano i documenti, già a metà del 1400 la villa di Norday era spopolata, “Villam Vocatam Norday Despopolatam”, così come la vicina Villa di Berziere, si può ritenere, che il primo spopolamento, sia dovuto all’incursione dei soldati di Musetto, visto la ricchezza del territorio e il punto strategico, tra la Barbaria, il Campidano, e il Marghine-Goceano. Distrussero le due Ville, ricostruite poi dai Giudici d’Arborea, si appropriarono dei beni e fecero schiavi la maggior parte degli abitanti, che poi vendettero con altri schiavi Sardi. La loro liberazione avveniva tramite pagamento della “Gizyah”, una indennità di guerra e riscatto cumulativo delle persone e degli averi dei vinti.

Secondo lo storico Arabo Ibn Al Atir, i Sardi fecero prigioniero di guerra il fratello di Musetto e il suo figlio Ali Ibn Mughjaid , e questa volta furono i Mori a pagare un forte riscatto, per la loro liberazione. La denominazione in località Berziere de ‘Sa puntana e su Moro’, ne sarebbe una testimonianza, che il Moro fosse lo stesso Musetto. E’ plausibile come scrivono gli storici, che Musetto sbarcasse in punti ben precisi, perché conosceva bene il territorio e i punti nevralgici delle difese isolane. Musetto aveva basi stabili Musulmane nell’isola, per potersi muovere agevolmente non solo verso le coste ma anche al centro della Sardegna, tramite i racconti dettagliati di sua madre, e dei suoi familiari, e ci fa ritenere, che una sua grossa base fosse a Berziere dove nacque sua madre, la Sardo-Cristiana rapita dai Barbareschi. Una tradizione Sardo-Pisana, sembra collegare questa meravigliosa storia all’Ardia di Sedilo.

Il Papa Benedetto VIII, donò il leggendario gonfalone ai Pisani, che accorsero in aiuto ai Sardi, che combatterono contro i Musulmani di Musetto. Gonfalone con lo stemma dei “4 Mori”, se questo corrisponde a un po’ di verità è spiegabile, perché nella Pandele dell’Ardia, sia quella a cavallo che a piedi, è stampato lo stemma dei “4Mori” e nessun simbolo che ricordi la battaglia di Ponte Milvio, e di conseguenza l’Ardia come rappresentazione della vittoria di Costantino contro il cognato Massenzio, come attualmente ci viene fatto credere. E’ molto più plausibile l’Ardia come rappresentazione, di quella battaglia vinta dai Sardi contro il Cristiano-Musulmano- Sardo-Sedilese-Musetto. A Cabras la celebre corsa degli scalzi, ricorda appunto una incursione dei Mori. A Sedilo gli anziani ricordano che sentivano dai loro avi raccontare di questi Mori che soggiornavano vicino alle sponde del fiume Tirso, e quando erano bambini i genitori per farli stare buoni dicevano: “Mi ca eni su Moro e ti che furat e ti che leada” (Viene il Moro ti ruba e ti porta via). Interessante e molto intrigante sempre a proposito de su ‘Moro’ uno strano rito praticato sino alla fine degli anni cinquanta i giorni 14 e 15 Maggio, festa de ‘Santa Ittoria’ (Vittoria) Le ragazzine da marito, il 14 Maggio, ‘Si mudiant de sinnoreddas’ (Si imbellettavano da Signora) con gli abiti migliori e in cappeddu (capello), si riunivano nel loro vicinato, cantavano e ballavano. Le altre donne le guardavano e offrivano loro dei dolci, e così in ogni vicinato di Sedilo. Ed ancora il Moro che ritorna nei loro canti, mentre nella prima strofa, sembra che abbiano paura del ‘Moro’, nella seconda cantano ‘Ma cantu du istimo’ (lo amo). Ballavano e cantavano, sino a notte fonda:

Mamma mia su Moro in crabetura
Mamma mia su Moro in su pendente
abbisumeu ca beniu zente
a che leare (o furare) sa zeracca a fura
Mamma mia su Moro in crabetura
Mamma mia su Moro
si du io du timo
ma cantu zeo d’istimo
ma solu a Deus adoro

[Traduzione]
Mamma mia il Moro è sul tetto
Mamma mia il Moro è già sceso in soffitta
Forse è venuta gente
per rapire la serva
Mamma mia il Moro è sul tetto
Mamma mia il Moro
se lo vedo ne avrò paura
ma quanto lo amo
solo a Dio però adoro

Il 15 Maggio tutte ‘Le sennoreddas’ del paese, si recavano a Santu a Santu Antinu, a ballare in sos muristenes de sos Sedilesos e, colpa dei balli, il parroco li fece demolire. Alla fine tutte insieme cantavano quelle strane strofe. Perché nella versione scanese, il prigioniero de ‘su Moro’ al suo risveglio fece ritorno a Scano, versione meno fantasiosa e più veritiera, ed è molto credibile che lo schiavo si trovasse prigioniero o in Barbaria, o a Sedilo- Berziere, territorio di confine, con la Barbagia.

Don Giomaria Ledda mentre si recava da Scano a Ghilarza per l’acquisto di una vacca, in località ‘Ischeras’, incontrò un bel giovane di bell’aspetto vestito da guerriero romano, ricordandogli l’impegno preso per la sua liberazione. Ma il Ledda non sapeva dove era Monte Isei, e girò paesi e paesi, sino a quando un vecchio gli indicò il posto.

In questa versione non si menziona Sedilo, al contrario di quella sedilese, il Santo gli dice espressamente: “Vai a Sedilo”.

Fanno molto molto pensare, l’affermazione, Il recarsi del Ledda a Ghilarza al mercato del bestiame, ci fa ritenere, che siamo intorno al 1930 in piena era fascista, prima non esisteva nessun mercato del bestiame a Ghilarza. Perciò si può senz’altro dedurre che il ‘documento scanese’ fu redatto in quell’epoca, mentre la versione sedilese sembra di capire, fu compilata intorno al 1950, e chi la compilò (un Prete?), conosceva l’altra versione e aggiunse e tolse degli elementi.

Proprio in quegli anni si cercò un’altra volta di sfruttare il sentimento popolare, che vedeva nell’Imperatore Romano, il campione della lotta contro gli invasori, e si presentò la Festa di San Costantino come “La Festa nazionali dei Sardi”, in lotta contro i nuovi invasori fascisti. E’ da segnalare che nel 1929 il Parroco di Scano abolì la festa in onore di San Costantino sostituendola con due Santi martiri scanesi, San Errio e Silvano, e di conseguenza abolì un’Ardia che correvano gli scanesi.

Così come sembra inverosimile, che Don Giomaria Ledda in località Ischeras rivide il Santo, e in quel posto non fu edificata una chiesetta o almeno un a cappella o qualcosa che ricordava l’apparizione, e per giunta in terra scanese. E’ molto improbabile, come sostengono gli scanesi, che la famiglia Angotzi-Dettori possieda la Pandela, che si usava nell’Ardia a Sedilo, con al centro raffigurato San Costantino a cavallo. Se veramente la ‘Pandela’ si trova a Scano, con quella immagine del Santo, questa è databile ai primi del 1900, prima nell’iconografia, il Santo era sempre raffigurato in piedi, o seduto sul trono, i primi ex voto che lo raffigurano a cavallo che si trovano nel santuario sono di quell’epoca. E’ da aggiungere, che quelle immagini raffigurano San Venceslao duca di Boemia, scambiato (o fatto scambiare) per San Costantino Imperatore.

E’ fantastica l’affermazione degli scanesi, che sostengono, che sono in possesso di un anello, che regalò San Costantino a Giomaria Ledda, per ringraziarlo per la costruzione del Santuario a Monte Isei. Anello-sigillo nobiliare, con inciso un leone eretto sulle zampe posteriori, mentre nelle zampe anteriori regge uno scettro, e uno scudo, con a lato la lettera A e dall’altro la lettera J, e molto fantasticamente interpretano la A come Augusto e la J come Imperatore. Purtroppo chi sostiene di possederla si rifiuta di mostrarla, e fotografarla, come sarebbe più che logico farla conoscere a noi sedilesi.

Nella versione sedilese, San Costantino dice allo schiavo: “Vai a Sedilo e costruiscimi una chiesa”, dando indicazioni precise come raccontano gli anziani: “Faemi una cresia in Nordai, a Monte Isei, in sas Pedras Aspras, inue ziro tres bortas a caddu”.

Costantino con queste affermazioni sembra più sedilese dei sedilesi, come si vede il Santo era padrone di una ottima parlata sedilese e ben conosceva minuziosamente il territorio. Tutto fa ritenere che qualcuno aveva interesse ad appropriarsi di quel ricco territorio, che comunque aveva un proprietario, e legittimarne il possesso, in primis la Chiesa. Una apparizione singolare quella dello scanese, fuori dalla norma per di più di un ‘Santo’, che la Chiesa Romana non riconosce e non si sogna minimamente di riconoscere.

Nel 1917 alla luce delle gravissime manipolazioni, che avvenivano in tutto il mondo cattolico da parte del Clero Locale, che faceva a gara nell’attestare, visioni, miracoli, di Madonne piangenti, Santi Martiri, e Sante Vergini, la Santa Sede con il C.D.R (Codice Diritto Canonico), promulga una disposizione con il CAN1399, CAP 5, che proibisce le pubblicazioni sulle apparizioni non riconosciute da una specifica commissione, ne vieta la costruzione di chiese, cappelle, di donazione di ex voto, di celebrare, riti e messe, (nel nostro caso specifico sino agli anni 70, il giorno 6 si celebrava messa in onore di S. Elena e il 7 per S. Maria Goretti). Il CAN 1399 scomunica tutti coloro che non attemprano alla proibizione del citato CAN1399.

Della visione da parte dello scanese di San Costantino, le autorità ecclesiastiche della Santa Sede demandano il tutto alla valutazione del Clero Locale e a quello Diocesano, per una attenta valutazione del caso. Questi per non ricorrere in scomunica ed altre gravi inadempienze si comportano con una “Grandiosa e bellissima” dose di ambiguità da rimanere stupefatti, sostenendo alle Autorità Ecclesiastiche Romane che l’apparizione allo scanese non rientra in quelle disposizioni, per il semplice fatto, che Costantino Imperatore non è santo.
Due versioni purtroppo non ci aiutano nel poter datare l’anno o il secolo della prigionia dello scanese e, di conseguenza, la costruzione del Santuario. Se l’Ardia è da collegare a questo evento, visto che invasioni di Mori, Turchi, Barbareschi e infedeli, la Sardegna ne subì sino ai primi dell’Ottocento: ultima quella di Magomadas. I documenti più antichi, conservati nella parrocchia di Sedilo sono del 1669, perciò il culto è da collocare molto prima. Ma quando? E a quale San Costantino?

Con l’affermazione “faemi sa cresia” nella versione sedilese, significa “edificami la chiesa” nella versione scanese si coglie, senza cadere in errore, che non esisteva nessuna chiesa. Nella ricorrenza dei 1700 anni della battaglia di Ponte Milvio e dell’editto di Milano 2012/2013, sia nell’Osservatore Romano, che nella prestigiosa Enciclopedia Treccani, Don Spada scrive: “Il santo chiedeva allo schiavo scanese di ricostruire la sua chiesa di Nordai, il tutto per far ricadere la visione e la liberazione dello schiavo, al suo modo di vedere, al tempo dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo. Tutto questo si deduce - continua lo Spada - è attestato dall’aquila bicefala scolpita nel peduccio del costolone situato tra l’altare e la porta della sacrestia del santuario, perché l’aquila bicefala era il simbolo imperiale di Carlo V”.

L’aquila bicefala, è sì scolpita nel costolone ed è ancora ben visibile, ma era anche il simbolo dell’Impero bizantino dal 1220 in poi, e simbolo di San Costantino XI (bandiera gialla con aquila bicefala) e se lo chiavo era tenuto prigioniero a Costantinopoli (come da leggenda) è facile intuire, che dopo la caduta della città, il 28 Maggio 1453, è più logico che lo schiavo abbia visto San Costantino XI , che morì difendendo Costantinopoli, l’ultimo baluardo della cristianità e ultimo Imperatore Cristiano dell’ormai dissolto di quel che rimaneva dell’Impero Romano d’Oriente.

Nell’altro costolone che lo Spada non descrive c’è scolpito l’albero deradicado (sradicato) simbolo degli Arborea, prima ancora dei Templari e, nella navata centrale, è scolpito un gran rosone con la stella di David, o scudo di David, simbolo degli ebrei.

Sicuramente questi simboli dovranno dire pur qualcosa nella costruzione del Santuario e di un San Costantino tutto da scoprire. Così come la famosa rissa (sa briga) tra scanesi e sedilesi, del 1806, durante la Festa a Sedilo, conseguenza della visione. Sembra molto strano che “sa briga” si sia svolta solo ed esclusivamente per l’organizzazione della festa e per chi doveva correre l’Ardia ad anni alterni, magari poteva nascondere altri interessi non necessariamente religiosi?

 

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